Coronavirus, l’inquinamento atmosferico ne accelera la diffusione?
È di queste ultime ore un nuovo interessante contributo scientifico che associa la diffusione del nuovo coronavirus e della sindrome ad esso associata (COVID-19), all’inquinamento da particolato fine.
Quest’ultimo, da noi misurato come PM10 e PM2.5, è una componente fondamentale dell’inquinamento atmosferico generato da attività di combustione (per esempio automobili, riscaldamento, etc.). Secondo questo studio, in particolare, le caratteristiche irregolari della curva di diffusione del virus in alcune aree della pianura padana, potrebbero essere dovute a picchi di concentrazione di particolato che ne avrebbe appunto aumentato le possibilità e la velocità di diffusione. Le particelle fungerebbero da nucleo di aggregazione e diffusione del virus secondo modelli già evidenziati in letteratura per passate epidemie. L’ipotesi è verificata dai dati con sorprendente regolarità. Fermo restando la necessità di approfondimenti scientifici su questo tipo di osservazioni, per escludere ad esempio altri fattori, si evidenzia anche in questo caso la rilevanza del monitoraggio dell’inquinamento dell’aria e dei suoi rapporti con la salute umana. Il team autore dello studio include ricercatori di UniBari, UniBologna, UniMilano, UniTrieste e della Società Italiana di Medicina Ambientale, che ci mostrano ancora, in un momento in cui le polemiche si rincorrono, il valore della collaborazione interdisciplinare nella ricerca.
Per noi team Air Heritage si tratta di un ulteriore stimolo a proseguire nelle attività di ricerca e di misura collaborativa della qualità dell’aria nel comune di Portici. Per tutti i cittadini un invito a considerare prioritario l’uso di mezzi di mobilità sostenibile quando, si spera il più presto possibile, sarà passato questo momento di prova per tutti.
Saverio De Vito, responsabile scientifico Air Heritage